Storia di un incontro fatale
(Credo che, l’amore, possa essere anche questo.)

Al Museo D’arte Contemporanea Di Aichi, situato nel cuore di Nagoya, città di residenza della onorata dinastia degli Owari Tokugawa che diede i natali al primo Shogun, Tokugawa Ieasu, è in corso la mostra “Van Gogh and Gauguin, reality and imagination”. Un percorso espositivo interessante che,  tracciando lo sviluppo indipendente dei due artisti, prima e dopo il loro incontro, ricrea le atmosfere della convivenza, ad Arles, dei due padri fondatori dell’arte Moderna, esaminando le influenze che avevano l’uno sull’altro.

Vincent Van Gogh (1853-1890), nato in Olanda,  da una famiglia benestante e molto religiosa, fu un bambino serio, calmo e riflessivo. Con la depressione, seguita al periodo londinese, sempre in bilico tra fede, ragione, stravagante sentimento, eccessi comportamentali, originalità espressiva, genialità artistica, la sua vita,  finita con il probabile suicidio, a soli 37 anni, non ha mai finito di affascinare un pubblico vasto e generoso,  che ha riconosciuto in Lui il vero genio incompreso, in cui creatività e follia convergono.

Paul Gauguin (1848-1903), meno travagliato, ma non meno originale dell’amico, nato a Parigi, da una famiglia benestante e progressista, passa la sua prima infanzia in Perù, a Lima. Un periodo che influenzò tutto il suo pensiero successivo. Il suo amore per i viaggi, lo porta ad imbarcarsi come marinaio,  permettendogli così di approdare in luoghi esotici come Rio De Janeiro, Panama, Martinica, Tahiti, per finire la propria vita a Hiva Oa, un’isola dell’arcipelago delle Marchesi, a 55 anni. La sua evoluzione pittorica in una forma semplificata dell’immagine, piatta, quasi priva di tridimensionalità, dove il protagonista assoluto è il colore, fu tenuta presente da tutta la pittura del ‘900, nonostante fosse stata sottovaluta fino alla morte dell’artista.

Come è noto, nel 1880, dopo un passato come commerciante d’arte, insieme al fratello Theo, una professione di tradizione, nella famiglia Van Gogh, all’età di 27 anni, Vincent iniziò a dipingere con serietà, anche su insistenza dello stesso fratello, che lo finanziò.  Provò diverse tecniche e materiali, che non lo soddisfecero, fino a quando non sperimentò il colore ad olio. Un materiale duttile, che poteva essere diluito o reso pastoso, permettendone quella sorta di “maltrattamento”  che ben si adattava alle esigenze espressive dell’artista, che dipingeva la natura dal proprio punto di vista soggettivo, influenzandola con i propri ideali.  I primi lavori ad olio di Van Gogh, ispirati a Millet e Breton, di scuola Barbizon, scuri e quasi monocromatici, sono così distanti dall’immagine iconica dei più celebri dipinti, che quasi si fatica a riconoscere l’artista.

Nonostante sia storia ben conosciuta, trovarsi davanti agli autoritratti di Van Gogh del 1886-1887  e vedere, a diretto confronto con le opere, come, in soli 6 mesi, l’espressione pittorica, la percezione del se, la stessa anima dell’artista, fossero mutate, durante la permanenza a Parigi e l’incontro con gli impressionisti, è di forte impatto. Ho avuto la sensazione che l’artista mi stesse guardando da 2 punti lontani di una stessa retta tendente all’infinito, sulla quale positivo e negativo si compenetrassero, rubando all’uno per donare all’altro, in equilibrio perpetuo.

Gauguin, appassionato d’arte, nel 1874, all’età di 37 anni, iniziò  a dipingere avvicinandosi agli impressionisti come Camille Pisarro. Capì che lo stile impressionista non si addiceva alle sue necessità espressive e ne prese gradatamente le distanze. Nel nudo di donna che cuce del 1881, si comincia ad intravvedere un stile più personale. Ma fu il breve soggiorno in Martinica del 1887, a segnare un ulteriore distacco della pittura di Gauguin dai principi dell’Impressionismo. Nei dipinti di quel periodo, semplificò i colori, istituendo forti contrasti. Vincent Van Gogh vide i dipinti di Gauguin, in mostra, nella galleria del fratello Theo. Fu folgorato dall’espressività  cromatica delle opere, che trovava di “immensa, meravigliosa,  poesia” ed incominciò a maturare l’idea di lavorare fianco a fianco con Gauguin, collaborando alla mutualistica ricerca di un nuovo linguaggio espressivo. Gauguin, in un primo momento, rifiuta l’offerta e si trasferisce in Bretagna, a Pont-Aven, dove conosce diversi pittori dell’epoca. E’ il 1888  quando Gauguin incontra Émile Bernard, la cui pittura innovativa, un misto tra cloisonnisme e japonisme, risulta decisiva nella svolta della tecnica di Gauguin. Dipinge a memoria, al chiuso, semplificando le sensazioni ed eliminando i particolari; di qui l’espressione di una forma  sintetistica, perché volutamente semplificata. Egli rinuncia anche ai colori complementari che, se avvicinati, si fondono e preferisce mantenere ed esaltare il colore puro, che non ha, però, ancora, l’intensità tipica dell’artista.

Nel Febbraio del 1888, lasciata Parigi, Vincent raggiunge Arles. Rimane affascinato dal paesaggio provenzale che gli ricorda molti degli elementi del sospirato mondo giapponese dell’Ukiyo-e, che tanto lo aveva colpito e dipinge molte opere. Era interessato soprattutto alla vita dei contadini, così legata al tempo scandito dalle stagioni

Trovarsi davanti ad un’opera di Van Gogh è un’esperienza coinvolgente e disarmante. Più ci si avvicina e più l’opera prende corpo, come se l’artista stesse ancora plasmando il colore con intensa, spasmodica energia. L’emozione è tangibile in ogni pennellata. La passione si avverte nella pastosità dei colori che racchiudono una mistica sensualità. Più ci si allontana e più l’opera diventa reale. Cattura con la sincerità delle forme e dell’atmosfera.

Van Gogh prese come modelli,  per le sue figure, i membri della famiglia Roulin e i soldati Zoavi di stanza in città. Van Gogh che riconosceva all’arte un carattere “consolatorio”, dipinse ache la calma bellezza dei parchi, dove le persone potevano trovare pace e serenità.

In quell’estate del 1888, Théo van Gogh stipula con Gauguin un contratto che garantisce al pittore uno stipendio di 150 franchi in cambio di un quadro ogni mese; lo invita poi a raggiungere il fratello Vincent ad Arles, in Provenza, pagandogli il soggiorno. Gauguin, non può rifiutare.

Vincent, in attesa dell’amico, con la prospettiva di creare una comunità di artisti, ad Arles, pieno di vitalità ed ottimismo, dipinse la celebre serie di girasoli in vaso, con cui intendeva adornare la camera in cui avrebbe dimorato Gauguin.

Il 29 ottobre 1888, Paul Gauguin raggiunge Arles. Il soggiorno ad Arles, nella celebre casa gialla, dei due artisti,  è molto proficuo. Nonostante i numerosi litigi, dovuti al carattere irascibile di Vincent e al temperamento insofferente ed arrogante di Paul, trovano un grande stimolo creativo dalle loro diversità espressive, influenzandosi a vicenda. Vincent è romantico e mescola i colori in pennellate vigorose, mentre Paul è più attratto dal primitivo e predilige campiture nette.  A Van Gogh la Provenza piace, mentre Gauguin la trova riduttiva.

Tra i tanti lavori, Vincent dipinge la ben nota sedia sulla quale soleva sedere Gauguin, a dipingere. Un lavoro in cui l’influenza dell’amico è ben evidente.

Paul dipinge paesaggi e scene di vita quotidiana, tra i quali, a detta dello stesso stesso Gauguin, il migliore è quello che ritrae la vendemmia.

Nonostante Vincent ammiri la pittura di Paul, vi  trova sempre qualche difetto che non esita a commentare, con notevole disappunto dell’amico. Paul, a sua volta, cerca di fare il contrario di quello che Vincent suggerisce. Lo scontro costante, sfocia in una lite definitiva, dopo la quale Gauguin decide di lasciare Arles.  Van Gogh lo insegue con un rasoio, ma quando lo raggiunge,  lo lascia andare. Tornato a casa, in preda ad una crisi psicotica, si amputa parte dell’orecchio sinistro, consegnandolo, poi,  ad una ragazza  di una vicina casa di tolleranza, pregandola di averne cura. Dopo la fine della loro convivenza, i due uomini continuano a scriversi. Nel maggio del 1889, Vincent entra volontariamente nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence, a una ventina di chilometri da Arles, dove rimane per circa un anno, dipingendo dalla sua camera o all’esterno dell’ospedale, quando il suo stato psichico lo permette. Ritrae con maestria ed originalità, motivi provenzali come i cipressi e gli uliveti. Stimolato dallo stile dell’amico Gauguin, sperimenta, talvolta,  il metodo di dipingere usando il ricordo e la propria immaginazione. Seppure si possa intravedere, nelle sue opere, l’influenza del simbolismo religioso di Gauguin, il lavoro di Van Gogh rimane tuttavia fermamente ancorato alla realtà.  Nel Maggio 1890, Van Gogh si trasferisce ad Auvers-Sur-Oise, nella periferia di Parigi. Sperimenta un nuovo tipo di pittura che chiama “ritratto contemporaneo”, ricercando attivamente nuove forme di espressione. Il 27 Luglio del 1890, dopo essere stato nelle campagne a dipingere come sempre, rientra ferito da un colpo di arma da fuoco al petto che potrebbe essersi inferto da solo, oppure essere stato colpito da due ragazzi che l’avrebbero esploso accidentalmente, mentre si divertivano a tormentarlo giocando con una pistola. Muore dopo due giorni, il 29 Luglio.  Van Gogh venne sepolto adagiato in una bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta dai girasoli che amava tanto, dalle dalie e da altri fiori gialli, nel cimitero di Auvers. Il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello, muore Theo Van Gogh, anch’egli malato psichiatrico. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova Johanna van Gogh-Bonger, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.  Johanna chiese che un ramoscello di edera del giardino del Dottor Gachet venisse piantato tra le due pietre tombali e ancora oggi le lapidi sono immerse in un groviglio di edera.

Gauguin, partito da Arles, dopo aver soggiornato tra Parigi e la Bretagna, deluso per il mancato riconoscimento pubblico delle sue opere, riesce a coronare il suo desiderio e, nel 1891, salpa per la Polinesia, alla ricerca di un vero mondo primitivo, dove intende finire i suoi giorni. Gauguin sosteneva che: “L’arte primitiva parte dallo spirito e si serve della natura. L’arte cosiddetta raffinata parte dalla sensualità e serve la natura. La natura è la serva della prima e la padrona della seconda. Ma la serva non può dimenticare la sua origine e avvilisce l’artista lasciandosi adorare da lui. […] La verità è nell’arte cerebrale pura.” A Tahiti, trova la serenità e la bellezza nei motivi dell’isola, ma si rende anche conto che l’influenza occidentale ha già prodotto dei cambiamenti. Così, anzichè ritrarre solamente il mondo Polinesiano, crea molte opere in cui, cultura Polinesiana, Cattolica ed altre,  si fondono riflettendo la sua memoria e la sua immaginazione. Nel 1893, Gauguin torna in Francia ed inizia a dipingere in Bretagna, ma poi parte una seconda volta per Tahiti, nel 1895, da cui non farà mai più ritorno in Francia. A Tahiti, continua a dipingere paesaggi, scene di vita pastorale e altere immagini degli isolani.

La pittura di Gauguin avvolge e trasporta con la purezza della tavolozza e l’occhio sincero. La sua forza è nel colore e nella verità delle linee che ricreano una dimensione onirica di realtà simbolica. E’ come avere un un rapporto sensuale e fisico con il colore.

Sempre alla ricerca del suo semplice mondo ideale, lascia Tahiti nel 1901. Appena prima di partire dipinge una natura morta di girasoli su una poltrona. Sono passati 11 anni dalla morte di Van Gogh, ma su quell’isola di pace, i pensieri di Gauguin sono ancora rivolti all’amico scomparso, nella lontana Francia.

Gauguin muore, in seguito alla sifilide,  sull’isola di Hiva Oa, nell’arcipelago delle isole Marchesi, dove viene fatto seppellire senza nome, dalle autorità coloniali e dal Vescovo della missione cattolica dell’isola, ai quali non aveva mai nascosto la sua ostilità. Pochi nativi dell’isola assistettero al suo funerale.  La sua tomba venne scoperta 37 anni dopo, momento in cui gli fu posta una piccola lapide con la scritta “Paul Gauguin 1903”.

Forse, amore può anche significare guardare i colori con gli stessi occhi, e avere il coraggio di perseguire decisioni eretiche*.

Barbara Fontana Ozawa

( *per la definizione di eretico si veda www.eretikosiki.com/concept)